Viaggi virtuali: La straordinaria vita di Ibelin (il documentario)

Ibelin,

Cosa significa viaggiare davvero? Non sempre serve uno zaino in spalla, un biglietto aereo o un sentiero da percorrere. Esistono viaggi che avvengono dentro casa, tra le pareti di una stanza, ma che portano molto lontano. Viaggi fatti di pixel, parole scritte in chat, connessioni invisibili tra avatar. Viaggi virtuali, certo – ma non per questo meno reali.

Cosa accade quando un mondo virtuale diventa più vivo di quello reale?

Nel documentario norvegese The Remarkable Life of Ibelin (Netflix, 2024), il regista Benjamin Ree ci accompagna in un viaggio straordinario: quello vissuto da Mats Steen, un giovane affetto da distrofia muscolare di Duchenne, costretto a vivere su una sedia a rotelle, ma capace di esplorare mondi immensi grazie al suo avatar digitale: Ibelin, nel videogioco World of Warcraft.

La storia, raccontata con grande delicatezza e con l’aiuto di animazioni ispirate all’universo di gioco, è soprattutto una storia di empatia e gentilezza, dove le relazioni virtuali diventano legami profondi, veri, capaci di cambiare la vita.

Cosa aspettarsi dal documentario e perché ve lo consiglio 🔍

Questo non è un documentario sul gaming in senso stretto, né una biografia classica.

È una storia intima e commovente che si muove tra il mondo fisico e quello digitale. Non serve essere appassionati di World of Warcraft per apprezzarlo: chiunque abbia mai trovato rifugio in una passione, o abbia stretto amicizie inaspettate attraverso uno schermo, troverà qualcosa di sé in questo racconto. Ve lo consiglio perché, pur con qualche sbilanciamento narrativo, riesce a raccontare con onestà e delicatezza una verità spesso dimenticata: che anche i luoghi virtuali possono ospitare esperienze autentiche.

E perché Mats, con la sua straordinaria capacità di esserci per gli altri, ci lascia una lezione di gentilezza che va ben oltre il videogioco.

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Oltre i limiti del corpo, dentro l’anima degli altri

Quello che mi ha colpito di più di tutto nella vicenda di Mats non è tanto il mondo fantasy in cui si muove il suo avatar, quanto la sua capacità di essere presente per gli altri. Mats si rifiuta di usare la chat vocale per nascondere la sua condizione, ma a lui bastano messaggi scritti sulla tastiera e le interazioni del gioco per rivelarsi un amico, un confidente, una guida per molte persone sparse nel mondo. La forza del documentario sta proprio qui: nel ricordarci che la gentilezza è un potere. Mats utilizza questo potere per cambiare (in meglio) le vite degli altri – e se guarderete il documentario, scoprirete come.

Una narrazione potente (forse fin troppo)

È inevitabile che un documentario del genere incappasse in questioni più complesse e controverse.

Le animazioni virtuali iper-realistiche (volti espressivi, occhi che trasmettono emozioni) sono ben lontane dalla grafica effettiva di World of Warcraft.  Una scelta  narrativa chiaramente consapevole: umanizzare il mondo virtuale serve a renderlo comprensibile anche a chi non gioca e a riflettere lo stato d’animo effettivo di chi impersona quei personaggi. Tuttavia da gamer, mi sono chiesto se, nella costruzione narrativa del documentario, alcuni elementi siano stati enfatizzati con particolare attenzione al coinvolgimento emotivo. La vicenda di Mats è toccante e autentica, e proprio per questo, anche senza manipolazione emotiva, raggiunge comunque il suo scopo – e i cuori degli spettatori.

C’è però una questione che sembra essere rimasta quasi del tutto in secondo piano: i videogiochi possono offrire esperienze straordinarie, ma portano con sé anche il rischio concreto della dipendenza.

È vero che il documentario accenna, seppur brevemente, ad alcuni comportamenti tossici presenti nel mondo videoludico, ma mi sembra abbia evitato quasi del tutto il tema della dipendenza dai videogiochi. Episodi come quello dei genitori che staccano la corrente o il router per interrompere le sessioni di gioco dei figli vengono mostrati in modo critico, quasi come gesti incomprensibili o autoritari. Tuttavia, non si spiega chiaramente che queste reazioni spesso nascono da un disagio reale, da segnali che possono indicare una dipendenza o una perdita di equilibrio nella vita quotidiana.

Parlo da gamer: so bene quanto il videogioco possa rappresentare una via di fuga positiva, uno spazio per l’esplorazione, l’amicizia e l’autorealizzazione – proprio come è stato per Mats. Tuttavia bisogna riconoscere che il confine tra immersione e dipendenza è sottile, soprattutto per chi vive momenti di fragilità o isolamento. Non affrontare questo tema, anche solo brevemente, è una mancanza che lascia scoperto un pezzo importante del discorso.

Il videogioco può essere rifugio, cura, possibilità. Ma può anche diventare un labirinto. Raccontarne la bellezza senza negarne le insidie è forse il modo migliore per rispettarne davvero la complessità.

Un invito ai gamer (e non solo)

Dovete assolutamente vedere questo documentario (attualmente disponibile su Netflix per gli utenti abbonati). Fatelo vedere ai genitori scettici, ai bulli (sia quelli virtuali che reali), ad altri gamer – a chiunque pensi che il mondo videoludico sia solo finzione o alienazione. Non dimentichiamoci, però, che a parte per chi vive situazioni difficili come quella di Mats, le avventure più belle sono ancora quelle reali, vissute nella vita vera. E quando la realtà si fa stretta, possiamo sempre affidarci – temporaneamente – ai viaggi virtuali.

La straordinaria vita di Ibelin sfida quelli che sono i tipici pregiudizi della società nei confronti dei videogiochi. Perchè no, non sono solo una via di fuga, e nemmeno mera competizione: possono essere spazi di incontro, di espressione, di autentica umanità. Mats lo ha dimostrato con forza.

Il suo avatar, Ibelin, era più di un personaggio: era una finestra sul mondo, e al tempo stesso uno specchio in cui molti hanno visto riflessa la parte migliore di sé.

Guardare questo documentario è un viaggio che commuove. Ma soprattutto, fa venire voglia di essere più gentili, più presenti, più veri – sia dentro che fuori dallo schermo.

Vi lascio qui sotto il link del trailer. Buona visione!


Approfondimenti 🔍


Cos’è la distrofia muscolare di Duchenne?

La distrofia muscolare di Duchenne (DMD) è una malattia genetica rara che colpisce quasi esclusivamente i maschi. È causata da un difetto nel gene che produce la distrofina, una proteina fondamentale per il funzionamento dei muscoli.

Senza questa proteina, i muscoli si indeboliscono progressivamente. I primi segnali compaiono spesso già nell’infanzia: difficoltà a correre, salire le scale o alzarsi da terra. Con il tempo, la persona perde la capacità di camminare e si affida a una sedia a rotelle. La malattia può anche colpire i muscoli del cuore e quelli che aiutano a respirare.

Non esiste ancora una cura definitiva, ma ci sono trattamenti e terapie che possono rallentare la progressione e migliorare la qualità della vita.

Aggiornamento: la scomparsa di Kai Simon Fredriksen

Dopo la pubblicazione del documentario, è stata diffusa la triste notizia della scomparsa di Kai Simon Fredriksen, uno degli amici più stretti di Mats nel mondo di gioco e uno dei testimoni presenti nel film. Kai si è tolto la vita poco dopo l’uscita del documentario. Una perdita dolorosa che aggiunge un ulteriore strato di complessità e umanità a questa storia già profondamente toccante.


Hai visto il documentario? Hai vissuto esperienze simili, nel mondo virtuale o reale? Oppure vuoi dire la tua su come i videogiochi ci trasformano, ci connettono, o ci salvano? Condividi la tua opinione nei commenti o scrivici: ogni contributo è benvenuto e può arricchire questa riflessione collettiva.


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About Davide Fiore 33 Articles
Mi chiamo Davide. Sin da sempre ho coltivato uno spirito indipendentista e ribelle che mi ha spinto a lavorare come programmatore in modalità remota. Oltre alla mia passione per il coding, mi dedico alla fotografia nel mio tempo libero e naturalmente adoro il cinema. Amo immergermi nell'atmosfera dei concerti (adoro la musica dal vivo e l'energia che si sprigiona da essi). Faccio migliaia di altre cose, ma sarebbe impossibile scriverle tutte qui!

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