“Ai miei tempi…” è la formula magica con cui si apre ogni viaggio nel passato mitico di chi, con gli occhi pieni di nostalgia e le tasche piene di aneddoti, guarda il presente come un brutto sequel. Ai miei tempi si giocava all’aperto, si mangiava quello che c’era e si faceva l’autostop senza morire di ansia o di Google Maps.
Il mondo era più piccolo, ma anche più grande. Bastava un cortile, due amici e una bicicletta per sentirsi in esplorazione. Oggi, per partire, serve un caricabatterie, una SIM internazionale, tre assicurazioni e l’ansia da FOMO (Fear of Missing Out, per chi ha superato i cinquanta e non lo sa).
Eppure, tra le rughe del passato e le emoji del presente, c’è qualcosa che resta: la voglia di connessione vera, quella che non passa per il Wi-Fi. “Ai miei tempi” non è solo una frase da anziani polemici, ma anche un richiamo a una semplicità che forse abbiamo perso — o che possiamo ancora riscoprire, magari lasciando il telefono in modalità aereo e guardando chi abbiamo davanti.
Perché sì, il mondo cambia. Ma certe cose – un buon racconto, una risata sincera, un viaggio fatto con lentezza – non passano mai di moda. Anche se oggi si chiamano “esperienze autentiche” e si prenotano con un’app.
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Si stava meglio quando si stava peggio? Viaggio tra nostalgia, comfort moderni e vita lenta
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